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Tron: Ares. Tecnologia con dentro un cuore umano. Come i Depeche Mode…

Tron: Ares. Tecnologia con dentro un cuore umano. Come i Depeche Mode…

“La domanda non è se un’auto va costruita. Ma chi ne possiede le chiavi”. È la solita storia. La tecnologia non è buona o cattiva, ma possono esserlo coloro che la controllano e ne decidono l’uso. È un discorso che è in piedi da anni, e che torna prepotentemente oggi, ai tempi in cui l’Intelligenza Artificiale che abbiamo visto in tanti film è diventata realtà. èomom. È questa la principale chiave di lettura di Tron: Ares, terzo capitolo dell’innovativo franchise di Tron, dal 9 ottobre nelle sale italiane. Al centro della storia c’è un programma altamente sofisticato, Ares (Jared Leto), una sorta di super soldato creato delle Intelligenze Artificiali che viene inviato dal mondo digitale a quello reale per una pericolosa missione, segnando il primo incontro dell’umanità con esseri dotati di AI. Ares, come tutte le altre creature in arrivo dal mondo digitale – motociclette, armi, carri armati – è però caduco. Il programma non è ancora perfetto, e, una volta nel mondo reale, una volta diventato qualcosa di fisico, dura solo 29 minuti. Il segreto è in due stringhe del codice di programmazione, che il famoso Kevin Flynn, l’inventore di tutto, ha nascosto da qualche parte. Eve (Greta Lee), programmatrice che segue le orme della sorella defunta, è riuscita a trovare quelle stringhe. Così Ares sarà inviato dal suo creatore a cercarla.

Tron: Ares è il nuovo legacy sequel di Tron, il film che nel 1982 usò per primo la computer grafica e che, per primo, provò a farci immaginare che cosa fosse un computer e che cosa accadesse al suo interno, in modo geniale e visivamente originale. È il secondo legacy sequel, che arriva 15 anni dopo Tron: Legacy, del 2010. Ha senso un sequel di Tron oggi? Si potrebbe pensare di no. Perché se nel 1982 un computer era qualcosa di assolutamente misterioso e ignoto quanto affascinante, oggi quelle macchine, e il loro funzionamento, per noi non hanno segreti. Eppure un senso potrebbe esserci. Perché nel rapporto tra reale e virtuale, tra fisico e digitale, Tron: Ares inserisce un discorso nuovo, che è quello dei nostri giorni. Quello sull’Intelligenza Artificiale. “L’AI militare sarà il futuro” sentiamo dire dal giovane tycoon della compagnia che ha progettato Ares, interpretato da Evan Peters. E sentiamo parlare anche di “meccanismi di emergenza e protocolli di contenzione”. Sono proprio i discorsi che sono all’ordine del giorno oggi a proposito delle regolamentazioni dell’AI. È questa oggi la materia ignota, la cosa che ci attrae e ci spaventa allo stesso tempo.

Uno dei punti di forza del primo Tron era quello di essere riuscito ad esplorare la frontiera della computer grafica quando era agli albori, oltre 40 anni fa. E, in un modo che oggi appare ingenuo ma era, ed è ancora, estremamente affascinante, era riuscito ad evocare l’anima di un computer, il suo interno, la magia che ne era alla base. E Tron era riuscito soprattutto a creare una forma visiva iconica, originale, immediatamente riconoscibile. Quel mondo nero costellato di sagome dalle luci blu e rosse, che erano quelle dei pixel illuminati su sfondo nero dei primi computer e dei primi videogame, ha fatto storia, è rimasto nell’immaginario collettivo. Ed è stato rielaborato nei due film seguenti, che in qualche modo ne hanno mantenuto l’estetica, l’hanno aggiornata alle possibilità e ai gusti di oggi. Ma quell’estetica del primo film è irraggiungibile. E infatti, quando a un certo punto il film ci riporta a quel mondo, l’emozione è davvero grande. Come la voglia di tornare a vedere quel gioiello del 1982.

Il nuovo Tron: Ares è comunque un film che ha una forma visiva abbagliante, fatta di fiammeggianti luci rosse e blu che si stagliano ancora sul nero, anche se in maniera più convenzionale di come lo facevano nel 1982. E il film ha anche una riflessione interessante, anche se già vista, sulla tecnologia e su chi la utilizza. La tecnologia, lo sappiamo, è neutra, non è buona né cattiva. Sono buoni o cattivi gli uomini che scelgono come usarla. Un discorso vecchio, ma sempre attuale.

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Sa di già visto, invece, la forma narrativa di Tron: Ares. Perché l’arrivo del mondo reale di creature digitali finisce per essere lo scontro tra l’uomo e le tante figure artificiali (le abbiamo chiamate replicanti, cyborg, automi, mecha) che hanno fatto la storia del cinema di fantascienza. Così molta dell’azione di risolve in una sorta di caccia all’uomo alla Terminator, con l’uomo che deve fuggire da un essere molto più forte e letale. Così l’avversario è potente, ma ha una data di scadenza come in Blade Runner. Per i replicanti immaginati da Ridley Scott era di quattro anni, per i soldati di Tron: Ares è di 29 minuti. Anche il programma che prende coscienza e prova sentimenti viene da tante altre storie, da Nirvana di Salvatores a Lei/Her.

Ci sono cose buone e altre meno buone, insomma, in un film che rimane godibile, paradossalmente molto originale in alcuni aspetti, molto meno in altri. Tra le cose riuscite ci sono gli attori. Jared Leto è perfetto nel dare un volto e un corpo ad Ares. È bravo nel trovare l’espressività nell’inespressività. Riesce cioè a rendere, nel totale controllo del volto, una malinconia nello sguardo. Negli occhi ha una luce, che è quella della coscienza. Eve è interpretata da Greta Lee, la rivelazione del film candidato all’Oscar Past Lives. E dimostra di saper passare da un film intimista ad un film d’azione, da un film d’autore a un blockbuster. Il suo volto orientale, i suoi occhi a mandorla così espressivi, il suo ovale perfetto la rendono allo stesso tempo credibile come una donna capace di provare dei forti sentimenti e come una guerriera.

Ma tutto è avvolto e immerso nella musica dei Nine Inch Nails, la band di Trent Reznor e Atticus Ross, che più di 30 anni fa aveva rivoluzionato il rock creando il genere industrial. Un suono che ancora oggi sembra in anticipo sui tempi e all’avanguardia, anche se ormai è un genere codificato. I Nine Inch Nails sono perfetti per regalare al film tappeti sonori martellanti e sincopati, incalzanti e urticanti. Colorano il film con synth epici, ma anche con toni più eterei, fino a ricreare musica con i suoni dei vecchi computer, quei carillon elettronici un po’ stonati che erano la colonna sonora dei nostri primi videogiochi. I Nine Inch Nails hanno pubblicato As Alive As You Need Me To Be, il primo singolo dell’album della colonna sonora e il primo brano ufficiale della band dopo cinque anni. Ma, quando si tratta di ripensare agli anni Ottanta, il programma Ares mette Just Can’t Get Enough dei Depeche Mode, una band che incarna lo spirito di quegli anni. E che dice di amare più di Mozart. Pensate alla musica dei Depeche Mode. È tecnologica ma umana, allo stesso tempo fredda e calda. È realizzata con i computer ma è carica di pathos e sentimento. È quello che vorrebbe provare ad essere la saga di Tron. In questo terzo capitolo ci riesce solo a tratti.

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